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| Il tubo otticoIl tubo ottico nella sua sezione centrale portante sarebbe stato realizzato con multistrato marino Navyrex (esagerazione per mia inesperienza), che adesso definirei materiale pesantissimo e del tutto inutile per un telescopio astronomico. Di certo per me era uno spettacolo alla vista ma, si sa, ogni scarrafone... La struttura si componeva di tre sezioni con misure a decrescere:
• base: cassa o culatta porta primario • sezione centrale da 420mm di lato esterno • scatola porta secondario da 300mm di lato in compensato di betulla da 5mm.
Tutto sovradimensionato rispetto al diametro dello specchio. Il motivo della scelta ricadde su alcune considerazioni che lessi nella letteratura tecnica di allora, in cui si affermava che le correnti termiche all’interno del tubo ottico tendono a salire primariamente lungo le sue pareti e, pertanto, si suggeriva un dimensionamento adeguato al fine di lasciare il fascio ottico conico quanto più libero possibile da queste interferenze. I quattro lati avevano uno sfiato superiore ciascuno con una feritoia dove si inseriva la sezione apicale del tubo porta secondario. Poiché il NAC aveva la natura di telescopio sperimentale, non esitai più di tanto e non volli lesinare sulle misure. Adesso, non so se le argomentazioni accennate fossero elucubrazioni astrofile, mero empirismo o calcoli apodittici, però io non ricordo di aver avuto effettivamente mai problemi con la turbolenza interna, ottenendo inoltre un ottimo isolamento dall’irraggiamento termico del suolo circostante.
La cella dello specchio faceva riposare l’obiettivo su nove punti flottanti, forse eccessivi per un vetro spesso oltre 40mm. Lateralmente, invece, tre archi in metallo con guarnizioni in gomma sostenevano il contorno del disco. Infine, tre fermi di guardia di sicurezza ne avrebbero evitato un ribaltamento accidentale, evento che si verificò trent’anni dopo, proteggendo al 100% lo specchio. Il NAC aveva superato pure il crash test! Altri elementi di registrazione regolavano e bloccavano poi lo slittamento laterale della piattaforma interna della cella.
La struttura apicale del secondario, conteneva la raggiera a tre staffe, il piccolo secondario da 20mm della prima serie, portato poi a 25mm nella seconda, ed il focheggiatore elicoidale da 31,75mm in bronzo tornito. La seconda serie prevedeva un sistema di doppi supporti a filo per sostenere lo specchietto, ma questa soluzione dopo qualche esperimento fu abbandonata per motivi di praticità operativa. Allo zenit, l’oculare raggiungeva circa 3,5 metri di altezza e lo conquistavo solo salendo fino all’ottavo o al nono piolo, a seconda delle due scale impiegate, sommandovi pure la mia altezza di 1,77 metri. Non vi furono mai problemi di vertigini poiché al buio il terreno si vedeva poco, però in qualche occasione rischiai la rottura di un femore quando, dopo l’entusiasmo delle osservazioni, capitava di scendere celermente per chiamare qualche famigliare alla condivisione, saltando però qualche piolo nella sensazione di essere già a terra.
Come diceva un attore del glorioso cinema anni ‘60: “So’ ragazzi!”.Attached Image: La Culatta posteriore
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