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Scalatura delle focali oculari (2012)

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Marcopie
view post Posted on 12/10/2012, 17:01 by: Marcopie
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Mammifero Bipede

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(a distanza di un anno dalla precedente analisi torno ad aggiornarla con le cose che ho sperimentato, approfondito ed elaborato nel frattempo)

La scelta degli oculari
Superato il grosso scoglio della scelta dello strumento, il dilemma immediatamente successivo che il neofita si trova ad affrontare riguarda la scelta degli oculari: quali e quanti acquistarne e di che tipologia. Purtroppo è un problema che non ha soluzioni semplici, dipendendo da una quantità di fattori che spaziano dalla tipologia di oggetti osservati alla qualità del sito osservativo, al rapporto focale dello strumento, alla disponibilità o meno di inseguimento siderale, per cui non proverò nemmeno a generalizzare ben consapevole di quanto ciò sia complesso ed arbitrario. Mi limiterò a tratteggiare la mia personale esperienza di osservazione di oggetti deep-sky (e solo molto occasionalmente di pianeti e stelle doppie).

Range di ingrandimenti utilizzabile
Cominciamo col piantare alcuni paletti. In primo luogo il range di ingrandimenti sfruttabile ha confini ben definiti sia inferiori che superiori, ed è strettamente legato al diametro dello strumento. Il limite superiore agli ingrandimenti utilizzabili è determinato dalla risoluzione del telescopio, dalla qualità del seeing (ammettendo che non insorgano problematiche termiche a deteriorarlo ulteriormente) e dal contrasto dei dettagli che stiamo cercando di vedere. L'ingrandimento massimo si colloca tra il valore del diametro dell'ottica (D) espresso in millimetri, ed il doppio di tale valore (2*D), e prende il nome di ingrandimento di "roll-off", valore al di sopra del quale l'immagine comincia a peggiorare, impastandosi e mostrando meno dettagli.

Andando nella direzione opposta l'ingrandimento minimo è dato dal rapporto tra il diametro dello strumento e quello della pupilla dell'occhio, per la quale si assume il valore di 7mm (anche se questo valore tende a ridursi con l'età...). Di conseguenza l'ingrandimento minimo (Imin) sarà dato dal diametro dell'ottica espresso in millimetri (D) diviso sette:

Imin=D/7


Va detto, a questo punto, che tale valore teorico non può essere ottenuto da tutti i telescopi, essendo limitato dal range di lunghezze focali degli oculari effettivamente disponibili in commercio. Per strumenti con rapporti focali elevati, come i maksutov o certi rifrattori a lungo fuoco (F/D=15), è impossibile lavorare al livello minimo di ingrandimento. Per altre tipologie di strumenti, come gli Schmidt-Cassegrain, (F/D=10) l'ingrandimento minimo è avvicinabile a patto di sacrificare il campo apparente dell'oculare, limitato dalla dimensione del barilotto. Di fatto una visione ottimale a bassi ingrandimenti e largo campo apparente (82°) è riservata a strumenti con rapporto F/D almeno pari a 5, o inferiore.

CITAZIONE
Parentesi tecnica
Per chiarire il concetto farò qualche esempio avvalendomi di semplici formule. L'ingrandimento (I) dipende dal rapporto tra la lunghezza focale dell'obiettivo (F) e quella dell'oculare (f), una relazione che possiamo esprimere formalmente con:

I=F/f


Avendo definito l'ingrandimento minimo pari al diametro dell'ottica (D) diviso 7 (vedi sopra) ci è comodo ricavare il valore della focale dell'oculare (f), per questo caso specifico, partendo direttamente dal rapporto focale (F/D) del telescopio, attraverso la seguente relazione:

f = F/I = 7*F/D


Quindi l'ottenimento dell'ingrandimento minimo richiederà, rispettivamente:
- un oculare da 35mm per un telescopio con F/D=5 (p.e. un dobson)
- un oculare da 70mm per F/D=10 (p.e. uno Schmidt-Cassegrain)
- un oculare da 105mm per F/D=15 (p.e. un Maksutov o rifrattore).

Di questi tre l'unico disponibile in commercio è il primo. La massima lunghezza focale per oculari commerciali è infatti intorno ai 56mm, ma con una limitazione riguardo al campo apparente, che in questo caso non supera i 56°. Gli oculari a lunga focale soffrono infatti il limite delle dimensioni del barilotto che li ospita, e si traduce nell'impossibilità di adottare schemi ottici grandangolari.

Campo apparente
Quanto il campo apparente dell'oculare possa rappresentare un discrimine rientra nei gusti personali, nella disponibilità di inseguimento siderale (un CA ridotto rende più problematico e faticoso l'inseguimento manuale ad alti ingrandimenti) e non da ultimo nelle disponibilità finanziarie personali. Fino a non molti anni fa la norma era osservare con oculari Plössl ed Ortoscopici con 56° di campo apparente, poi sono arrivati i "SuperWide" da 70°, quindi i Nagler da 82° ed ora l'ultima frontiera sono gli Ethos (e relativi cloni) da 100°. Il mio "giusto compromesso" tra prezzo e soddisfazione si attesta attualmente sugli 82° della serie commercializzata da Explore Scientific, sebbene nel mio corredo trovino posto anche oculari Nagler e Meade.

Ambiti di utilizzo
Abbiamo quindi definito gli estremi all'interno dei quali spaziare: l'ingrandimento minimo al di sotto del quale parte della luce raccolta dal telescopio non riesce ad arrivare alla retina e l'ingrandimento massimo al di sopra del quale non si scorgono più nuovi dettagli. Questi due ingrandimenti stanno tra loro in un rapporto pari a 1:14 (tra D/7 e D*2), resta da stabilire il criterio con il quale suddividere tale intervallo. Per prima cosa però occorre capire come si comportano sul cielo oculari di lunghezze focali diverse.

Negli oculari a lunga focale (e basso ingrandimento) il fondo cielo appare brillante, in genere ulteriormente schiarito dall'IL. Questi oculari si utilizzano solitamente, oltre che per cercare gli oggetti, per l'osservazione di nebulose estese attraverso filtri interferenziali (OIII, Hbeta), che già del loro contribuiscono ad abbattere la luminosità del fondo cielo riportandola entro limiti accettabili.

Ad ingrandimenti intermedi (tra D/3 e D/2) si ha la resa migliore sugli oggetti deep di medie dimensioni, soprattutto galassie, con e/o senza l'uso di filtri.

Salendo ancora con gli ingrandimenti (tra D/2 e D), in situazioni di IL molto ridotto il fondo cielo scende sotto la soglia di sensibilità della retina e l'uso di filtri non produce più alcun vantaggio. Per contro le dimensioni delle stelle tendono a crescere a causa del seeing e della diffrazione, mentre cala la luminosità superficiale degli oggetti deep al punto che le zone più tenui percepibili ad ingrandimenti minori finiscono anch'esse al di fuori del range di sensibilità dell'occhio, rendendosi invisibili.

Gli ingrandimenti estremi (compresi tra D e 2*D) sono in genere riservati all'osservazione planetaria. Nel deep sky sono sfruttabili solo in presenza di oggetti caratterizzati da elevata luminosità superficiale e ridotte dimensioni (p.e. alcune nebulose planetarie), e solo in presenza di un ottimo seeing.

Scalatura degli oculari
La soluzione "tradizionale", formulata in tempi lontani, quando la disponibilità di oculari sul mercato era scarsa ed i costi più elevati, consisteva nella cosiddetta "regola del raddoppio", dimezzando (o, se vogliamo, raddoppiando) la lunghezza focale tra un oculare e il successivo. Il risultato visivo consiste nel raddoppio delle dimensioni dell'oggetto passando da un oculare a quello immediatamente successivo.

Applicando questa regola ad un ideale dobson con F/D=5 (da qui in poi, per semplicità, riferirò i calcoli a questo schema ottico) otteniamo come possibili soluzioni:

  1. 35mm – 17,5mm – 8,8mm – 4,4mm – 2,5mm (serie completa)

  2. 24mm – 12mm – 6mm – 3mm (serie ridotta)

(n.b.: la "serie ridotta" esclude gli ingrandimenti "estremi" per concentrarsi su quelli più concretamente fruibili)

Col tempo, tuttavia, ci si rende conto che tali "salti" sono quasi sempre eccessivi, e per molti oggetti si sentirà la necessità di un ingrandimento intermedio, o quantomeno di una spaziatura più ridotta tra le diverse focali. Cosa non sempre banalissima da realizzare dal momento che, tranne in casi rari (e costosi) non tutte le focali che vorremmo acquistare sono disponibili nella medesima serie, o in serie di caratteristiche analoghe.

Nell'anno appena trascorso ho avuto la possibilità di far lavorare parecchio il set di oculari descritto nel precedente articolo, passando soprattutto molte ore sotto un cielo decisamente buono come quello dell'isola di Lastovo. Alla fine mi sono dovuto rassegnare al fatto che il salto tra l'8,8mm ed il 4,7mm (190%) risultava spesso eccessivo: oggetti che nell'8,8mm parevano consentire ulteriori possibilità di ingrandimento finivano con l'apparire eccessivamente ingranditi nel 4,7mm, confermando nei fatti l'inadeguatezza della "regola del raddoppio".

La "lacuna" è stata recentemente colmata con l'acquisto di un 6,7mm, riportando i "salti" alle medie del resto del corredo, variabili con incrementi dal 31% al 48%, come visibile dalla tabella sottostante. In quest'ultima ho integrato due "estremi" precedentemente mancanti: un 32mm 68° pressoché inutilizzato sotto i cieli italiani a causa dell'inquinamento luminoso (ma di cui ho sentito la mancanza in Croazia, per cui ho momentaneamente rinunciato all'idea di venderlo) ed un "oculare equivalente" da 3mm ottenuto accoppiando l'8,8mm ad una barlow 3x, soluzione che all'atto pratico si è rivelata notevolmente efficace.

Tabella


Ho quindi provveduto ad integrare ed aggiornare anche le simulazioni grafiche del comportamento dei diversi oculari, sempre utilizzando l'ottimo Stellarium.
Gli screenshot sono stati rielaborati col programma di fotoritocco The Gimp per ovviare ad alcuni limiti della simulazione: togliendo il colore, aumentando la luminosità del fondo cielo sugli oculari a basso ingrandimento e diminuendo quella delle nebulosità per gli oculari ad alto ingrandimento. In quest'ultimo caso le stelle "ingrandite" sono venute da sé, ma le ho lasciate per rappresentare visivamente i danni causati dal cattivo seeing.


32mm 68°


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24mm 82°

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18mm 82°

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13mm 82°

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8,8mm 82°

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6,7mm 82°

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4,7mm 82°

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3mm (equivalente) 82°


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Conclusioni
A posteriori ho trovato una giustificazione logica a questa mia predilezione per salti incrementali prossimi al 40%, e mi sembra abbastanza plausibile: il valore di 1,41 equivale alla radice di 2. Questo fatto comporta che ad un incremento nelle dimensioni dell'immagine di tale portata (+41%) corrisponda un dimezzamento della quantità di luce per unità di superficie (laddove, per contro, il raddoppio delle dimensioni corrisponde alla riduzione ad un quarto di tale luminosità superficiale). Operando ad individuare, per tentativi, oggetto per oggetto, la condizione ideale a rivelare minime sfumature di contrasto nelle zone nebulari, questo mi appare, attualmente, il compromesso migliore.

Si tratta in pratica di una nuova personale formulazione della "regola del raddoppio", dove il raddoppio al cambio oculare non riguarda le dimensioni dell'immagine ma la luminosità superficiale degli oggetti osservati.

Edited by Marcopie - 16/5/2020, 17:09
 
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